L’effige del pastore, desunta dall’iconografia pagana, risale all’immagine del pastore crioforo, dal greco: κριοφόρος, kriophoros, il "portatore di ariete", e proviene da una lunga tradizione figurativa classica che affonda le radici nella rappresentazione del mondo bucolico greco-ellenistico. Nella cultura latina, al pastore vengono conferiti valori di saggezza, cura e contemplazione della natura, secondo un ideale filosofico di humanitas lontano dalle lusinghe del mondo. Nel mosaico esaminato, qui restituito in disegno a rilievo, il Buon Pastore è, dunque, Gesù, la più diretta, significativa immagine “velata” di Cristo nella iconografia cristiana in formazione, desunta appunto da quella del pastore crioforo. Cristo, il pastore buono, si prende cura delle sue pecore, i fedeli. Raffigurato frontalmente e leggermente sollevato da terra per resa non mimetica della prospettiva, regge sulle spalle la pecora salvata, trattenendo saldamente, sul suo petto, le zampe unite della bestiola, mentre ai suoi piedi un’altra pecora lo contempla, con gli zoccoli ben piantati sulle zolle d’erba, quasi a chiedere protezione. Gesù, pastore e pescatore d’anime, regge nella mano destra una siringa (syrinx) o flauto di Pan e indossa l’alicula, una piccola mantellina rossa, sotto la quale si intravvede la tunica manicata, succinta, raccolta ai fianchi, che scopre parte delle gambe rendendo visibili le calze crurali (gambali) avvolgenti i polpacci fin sopra le ginocchia e rese nel disegno a rilievo con motivo a spina di pesce, per distinguerle dall’incarnato e dalle calzature a sandalo. L’immagine, nel suo insieme, simboleggia il Cristo che chiama a sé i fedeli e accoglie nella festa della salvezza sia l’umanità redenta, sia quella che vive ancora la dimensione terrena. La scena è iscritta in una cornice ottagonale, decorata con motivo a lacunari. Gli effetti chiaroscurali, pregio dei mosaici originali, nel disegno a rilievo sono stati restituiti con alternanza di linee sottili e marcate, a definire vuoti e pieni delle superfici.